10 MAGGIO 1944 A CEVO

La pressione militare sui partigiani della 54° Bgt. Garibaldi e le popolazioni della Valsaviore, si accentuò nel maggio del 1944. Una serie di rastrellamenti interessarono la zona già il 19 e 30 aprile. Scontri si ebbero il 7, 9, 10, 12, 13 maggio a Fabrezza, il 19 a Musma, il 22 in Val di Malga. Il 7 cadeva in combattimento il primo partigiano della 54°, Bortolo Belotti, che avrebbe dato il nome alla formazione. La sera dell’8, giunse a Cevo un camion che trasportava militi della GNR e gendarmi tedeschi. L’obiettivo era quello di costringere i renitenti alla leva a consegnarsi. Se gli sbandati non si fossero presentati entro ventiquattro ore, le malghe e le abitazioni dei familiari dei giovani, sarebbero state incendiate. La popolazione, preso atto della minaccia, cercarono di mettere in salvo parte delle masserizie in cantine e fienili. Alla scadenza dell’ultimatum, Cevo era praticamente deserta. I suoi abitanti si erano sparsi sulle alture circostanti. Il comando tedesco che sovrintendeva all’azione, dispose per un intervento repressivo diretto contro i renitenti ed i partigiani operanti in zona. Alcune persone, sospettate di favoreggiamento dei patrioti, vennero arrestate. Il 9 maggio toccò a Giovanni Battista Matti, stradino. Il giorno dopo a Innocente Gozzi, che fu condotto nella caserma della GNR. L’11 caddero nelle mani dei fascisti lo scalpellino Francesco Vincenti, la contadina Enrichetta Comincioli, e il partigiano Bartolomeo Biondi. I primi tre furono deportati a Mauthausen, e vi morirono.
La Comincioli fu inviata nel campo di Ravensbrück da cui fortunatamente ritornò alla fine della guerra. Gli altri arrestati furono: Bortolo Biondi, Andrea Groli, Bernardo Morgani e Bernardo Tiberti.
Intanto i rastrellatori si erano spostati a Saviore, dove ebbero uno scontro a fuoco con dei partigiani appostatisi sopra l’abitato. I fascisti successivamente perlustrarono le abitazioni, conducendo in piazza diversi cittadini, tenuti sotto il tiro delle armi e minacciati di morte se non avessero collaborato. Intanto, nella frazione Ponte, fu fermato Giovanni Maria Tiberti per non aver dato informazioni utili all’individuazione delle posizioni dei ribelli. Il 12 maggio continuò il rastrellamento e così il 13. L’ingiunzione di resa rivolta dai nazifascisti ai patrioti non ebbe alcun risultato. Da parte garibaldina la risposta fu negativa e molto determinata nell’annunciare una dura reazione qualora la GNR e i soldati tedeschi avessero dato corso all’incendio di Cevo. Che, per questa volta, non ci fu.

1944-05-Cevo

Bibliografia:
M. Franzinelli, La “baraonda”. Socialismo, fascismo e resistenza in Valsaviore, vol. II, I documenti, Grafo, Brescia 1995, pp. 82-3;
M. Franzinelli, La “baraonda”. Socialismo, fascismo e resistenza in Valsaviore, vol. I, La Vicenda, Grafo, Brescia 1995, pp. 123-8, p. 237;
M. Franzinelli (a cura), Il museo della Resistenza in Valsaviore, BAMS, 2013, p. 79, p. 138;
W. Boghetta, La Valsaviore nella Resistenza, Brescia, Editrice Vannini, 1974, pp. 61-2;
R. Ragnoli, I caduti per la Resistenza in valle Camonica, in <<La Resistenza bresciana>>, n. 12, 1981, p. 56.
A. Fappani, La Resistenza bresciana, vol. III, Squassina editire, Brescia 1965, p. 36

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