SALVETTI Pietro

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[…] [Eravamo] in tre deportati per castello. [Il vitto consisteva in] un litro di zuppa di carote, rape e piante di patate sporche con una sottile fetta di pane. [Ogni giorno venivano effettuati] tre appelli, [mentre l’orario di lavoro giornaliero andava dalle] cinque alle dodici e dalle tredici alle diciannove. [Furono effettuate anche delle disinfestazioni] per il tifo pidocchioso [sic].
I kapo erano Triangoli verdi [e si esprimevano] in tedesco o francese. [Le malattie più frequenti erano] la gastrite duodenale, pleure, artrite. Ho subito quattro punizioni con snervate [sic]. [Inoltre, ho assistito] all’impiccagione e all’uccisione di un compagno con il calcio del fucile [da parte] di una guardia delle SS.
[Ci sono state anche delle ribellioni a causa dei] forti maltrattamenti [subiti dai deportati]. [Alla liberazione del campo] ci sono state rivolte con le armi [contro i kapo].
Da Dora sono stato trasferito a Belsen. [Ho aspettato] cinque mesi prima del rimpatrio [che è avvenuto] su un carro bestiame transitando da Innsbruck. [Ciò che mi ha fatto resistere è stata la] forza di spirito, [mentre l’impressione che mi sono portato dietro dai campi è stata] pessima e disgustosa.
Gli orrori sono stati immensi! Ho visto uccidere donne e bambini in modi atroci e disumani. Ma mi è rimasto impresso nella memoria l’uccisione brutale di un mio compagno che tutto sanguinante si nascondeva la testa dietro un sasso per non volere morire. Ma tutto è stato inutile perché l’hanno ucciso le SS. [E infine mi ricordo] l’uccisione di un bimbo appena nato di una prigioniera russa”.

Fonte: Archivio Storico dell’ANED di Brescia, B. 9, fasc. 114 (“Elenchi dei deportati”), ad nomen. 

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