ORIO Pietro

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[…] [Nel campo si dormiva o] in castelli di legno di quattro piani, o in terra [dentro] un tunnel.
Il vitto era composto da duecento grammi di pane di orzo, quattro patate, un litro di verdure con terra. [Al giorno venivano effettuati] uno o più appelli quando eseguivano punizioni [L’orario di lavoro era di] dodici ore alternate in tre turni. Ogni quindici giorni diciotto ore.
I kapo erano cecoslovacchi e parlavano in lingua cieca o tedesca.
Le malattie più frequenti erano la nefrite, TBC e diarree. Per quattro volte ho subito delle punizioni; [consistevano in] vergate [inflitte] dagli stessi internati che erano obbligati ad eseguire fino a cinque.
[Ho assistito anche a degli episodi di crudeltà]: pestaggio, venticinque frustate [per ogni deportato] anche se crollavano svenuti. [Ci sono state anche delle esecuzioni capitali]: impiccagioni per sabotaggio.
Nell’ottobre del 1944 [ci fu una ribellione per] far saltare la gabina [sic] elettrica. [Conosco solo un caso di evasione; un deportato cercò di fuggire] con l’aiuto dei compagni di lavoro. [Ma, di solito, i fuggitivi venivano ripresi, e la punizione che veniva loro inflitta era di] venticinque vergate e lavoro più forzato.
[Ci sono stati anche casi di suicidio]: si gettavano sotto il treno.
[Dopo la liberazione di Dora non mi ricordo di rappresaglie contro i kapo].
Prima di tornare a casa, son trascorsi novanta giorni.
[L’impressione che mi porto dietro da quella esperienza è che ero] teso come un cane da rabbia e che gli italiani erano disordinati.
[Ciò che ricordo particolarmente è] il poco rispetto tra di noi [deportati].
Ho visto i senza Dio a far erigere nel centro del piazzale una fontana con tre pesci che sostenevano una statua della Madonna. [L’opera fu] molto elogiata dalle SS. [Era il risultato della] bravura di un nostro artista toscano sempre internato in detto campo”.

Fonte: Archivio Storico dell’ANED di Brescia, B. 9, fasc. 114 (“Elenchi dei deportati”), ad nomen.

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