TAETTI Francesco Luigi

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[…] [Nel campo siamo stati alloggiati nelle baracche. Eravamo] come sardine in scatola [nei castelli che ci avevano assegnato]. [Il vitto distribuito consisteva in un] pezzo di pane e margherina [sic] e zuppa di miglio. [Gli appelli della giornata erano] due: prima del lavoro e dopo. [L’orario era di] dodici ore di lavoro e dodici di riposo: dalle sei alle diciotto e dalle diciotto alle sei.
I kapo erano dei Triangoli verdi e rossi. In infermeria c’erano dei medici anch’essi prigionieri. [Le punizioni più frequenti erano quelle impartite dai kapo con] bastonate.
[Gli episodi di crudeltà a cui ho assistito sono state] l’impiccagione di nove russi [mentre un’altra volta] ne contai sessanta, tutti impiccati. [Il motivo era stato] sabotaggio. Verso la fine di marzo del 1945 c’è stata [l’evacuazione del campo]. Il trasferimento è durato una decina di giorni; eravamo circa centoventi deportati per vagone.
[Si raggiunse così] Belsen. [E qui ho visto entrare] un carro armato russo [il giorno della liberazione]. [Non ci sono state delle rappresaglie contro i kapo perché] erano spariti. Successivamente sono stato inviato nel campo di Wietzendorf (Bassa Sassonia) e lì ho aspettato tre mesi prima di rientrare in Italia raggiungendo il 29 luglio Pescantina (VR).
[Ciò che mi ha aiutato a sopportare questa vita è stata la ] forza di vivere e ritornare.
[Quello che mi è rimasto più impresso nel ricordo sono state] in particolare le impiccagioni e la vita passata dai ragazzini ebrei accanto a noi alla costruzione delle V1 e V2 a Dora, in quelle gallerie senza vestiti e denutriti”.

Fonte: Archivio Storico dell’ANED di Brescia, B. 9, fasc. 114 (“Elenchi dei deportati”), ad nomen.

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