RAZZAUTI Luciano

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[…] A Berlino ho subito una punizione: sono stato trasferito in lavori pesantissimi di fonderia. [Altre venivano date quando si parlava] con i civili tedeschi.
[Ho assistito ad episodi di crudeltà] al momento di partire da Bad Gandersheim; [ho visto] uccidere i malati ed altri che non avevano la forza di intraprendere la famosa “marcia della morte”.
[Ricordo un episodio di solidarietà] quando in fuga con il compagmo Zanardelli Alfredo [durante il trasferimento, ci eravamo] nascosti nel bosco e [abbiamo incontrato] un prigioniero russo evaso durante la “marcia della morte”. Lo abbiamo accolto e nascosto con noi fraternamente fino alla liberazione […].
[Ciò che mi ha fatto resistere è stata] la buona salute, la fede nella libertà futura; l’adattazione [sic] di riempire lo stomaco semi vuoto con bucce di patate ed altri legumi trovandoli nelle spazzature dei civili e soldati tedeschi […]; fortuna di scampare a tutti i grandi bombardamenti di Berlino e Norimberga.
[L’impressione che mi porto dietro da questa esperienza è legata] in genere al molto lavoro, poca nutrizione, poco sonno e una grande speranza di ritornare vivo in patria.
[Mantengo un ricordo particolare della] mia evasione solitaria da Berlino preparata minuziosamente trasformando l’uniforme di marinaio in abiti civili, prendere il Metrò a Berlino, viaggiare in treno 50 o 60 chilometri al giorno per dirigermi in Svizzera, a Sciaffusa; poi la cattura a Ansbach […]”.

Fonte: Archivio Storico dell’ANED di Brescia, B. 9, fasc. 114 (“Elenchi dei deportati”), ad nomen.

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