PIOZZINI Isidoro

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[…] [Ci hanno portato a Bolzano in camion]; eravamo in dieci, legati. [Abbiamo viaggiato per una] notte e siamo stati mitragliati da <<Pippo>>. All’arrivo a Bolzano, ci hanno bastonato a sangue. [Poi mi hanno deportato a] Mauthausen.
[Lì si dormiva] in terra, cinque o sei per materasso. A Gusen 2 [invece] avevamo dei castelli [dove potevano starci] tre o quattro persone. [Al mattino non ci davano niente da mangiare]; a mezzo giorno [della] brodaglia con bucce di patate e la sera circa duecento grammi di pane e, ma non sempre, un po’ di ricotta. [Venivano fatti] di certo dieci [appelli al giorno].
[L’orario era così diviso]: la sveglia alle cinque del mattino, appelli e lavoro dalle sette alle sette di sera. Il secondo turno andava dalle sette di sera alle sette della mattina. [Hanno effettuato anche delle disinfestazioni] per i pidocchi e per farci morire prima […].
I kapo erano Triangoli verdi, neri e gialli. [Ci furono tante selezioni]: ogni settimana facevano il controllo e tanti li mandavano alla camera a gas. Per di più erano ebrei. [Le malattie più frequenti erano] dissenteria, polmoniti e pleuriti. Diverse volte ho subito punizioni: bastonate e calci. [Venivano somministrate] specie nella conta. Le punizioni più frequenti erano le bastonate con le mani piegate sullo sgabello. O la notte mentre dormivi: nudi in pieno inverno ti mandavano alla doccia gelata [mentre] i caporioni […] ti obbligavano a colpi di nervate [sic] [ad] andare sotto l’acqua gelata.
[Ci sono state anche delle esecuzioni capitali]: impiccagioni. I malati non potevano eseguire il lavoro [ed erano considerati] sabotatori. [Ci furono degli episodi tra noi e altri deportati]: io lavoravo in squadra con dieci russi. Ci comprendevamo e c’era molta tolleranza. [Invece ci sono stati] tanti casi di suicidio, ai reticolati, con l’alta corrente. [Dopo la liberazione del campo ci sono state delle rappresaglie contro i kapo].
[Sono trascorsi diversi mesi prima di essere rimpatriato] perché non ero trasportabile. [Sono rientrato in agosto] per mezzo della Croce Rossa Italiana attraversando il Brennero.
[Non so cosa mi ha aiutato a resistere]: avevo tanta paura ma la mia volontà di sopravvivere era più forte della paura.
Non so come descrivere, perché ogni parola non sarebbe abbastanza per spiegare le cose brutte che c’erano nei campi di eliminazione.
[L’episodio che mi è rimasto più impresso è quello che si riferisce a] quando le SS mi bruciarono i capelli alle braccia e alle gambe. [Ma anche quando sempre] le SS salirono sui vagoni piombati e uccisero cinque o sei di noi, o quando, andando alla latrina c’era un cordone di kapo che ti bastonavano all’entrata. O come a Gusen [quando fu dato] l’allarme e noi, già sfiniti, siamo stati lì tutta la notte al freddo […].
Tanti sono i casi orrendi [a cui ho assistito] ma il più brutto è [stato] quando sono stato abbandonato con la dissenteria dai compagni [dopo la liberazione del campo]. Loro stavano bene e sono rientrati in Italia e io stavo morendo. E pensavo a tutti i patimenti subiti, pensavo alla mia famiglia, al mio paese e a tutte le cose belle, e [intanto] morivo. Dei volontari tedeschi mi presero in barella e mi portarono a Gusen 1 che funzionava da infermeria. Anche lì distesi in brande, quattro o cinque ammalati. E lì si aspettava il giudizio dei medici. O lasciarci morire o curarci. Dipendeva dalla nostra gravità. Ma [questo che ho raccontato] non è tutto [quello che ho patito]”.

Fonte: Archivio Storico dell’ANED di Brescia, B. 9, fasc. 114 (“Elenchi dei deportati”), ad nomen.

Bibliografia: M. Piras, Le radici del nostro futuro. Gussago 1943-1945: testimonianze e memorie, s.e., Gussago(BS) 2000, pp. 61-4.

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