PERTICA Domenico

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[…] [Condussero mia madre] davanti alla porta della stanza dove avevano luogo gli interrogatori, la faccia alta verso il muro e le misero vicino una guardia tedesca, la lasciarono in quella posizione per parecchio tempo, poi all’improvviso la guardia si allontanò, poco dopo sentì alle sue spalle aprirsi una porta e trascinare all’esterno un corpo, percepì che lo stavano legando ad un anello di ferro infisso nel muro, la porta si rinchiuse e lei sentì che quel corpo emetteva dei lamenti angoscianti e chiede a sua madre di aiutarlo. Mamma riconobbe la voce di suo figlio, si girò di scatto e vide un ammasso di membra insanguinate, fece per avvicinarsi a lui per soccorrerlo, ma la guardia che nel frattempo era ritornata al suo posto la fermò e la fece entrare dove la stavano aspettando […]”

[…] La mattina del 21 aprile [1945] alla chiamata per l’adunata Dino non era in grado di scendere dal tavolaccio, non aveva più la forza di alzarsi, forse aveva capito di essere arrivato alla fine. A questo punto mi fece promettere che, se io avessi avuto la fortuna di sopravvivere e ritornare a casa, avrei portato la notizia della sua morte alla sua famiglia. La sera stessa dopo una giornata di massacrante lavoro e aver assistito alla morte di tanti compagni, ritornato nel campo, andai nella baracca, mi avvicinai al tavolaccio ma Dino non c’era più. Nascondendomi alle guardie e con grande pericolo di essere scoperto, andai a vedere in infermeria ma non era neanche lì, decisi allora di andare dove depositano i morti e nel mucchio pronti per il forno c’era anche lui […]”.

Fonti: P. Piera, Anche questa sera li chiudo fuori, dattiloscritto, ora in Archivio ANED Brescia, B. 14, fasc. 164, sf. ad nomen

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