LUÈ Carlo

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[…] Il viaggio verso il campo è avvenuto su carri bestiame ed è durato tre, quatto giorni. Con me c’erano circa settanta, ottanta persone. Una volta arrivato, sono stato messo in quarantena per venti giorni. [Ero alloggiato in una baracca]: ogni castello ospitava tre persone.
Il vitto consisteva in crauti e pane. [Giornalmente venivano effettuati] due appelli. L’orario era di dodici ore lavorative e dodici di riposo: dalle sei alle diciotto e dalle diciotto alle sei di mattina. [Venivano fatte delle] disinfezioni per motivi di pulizia.
I kapo erano russi e spagnoli. Le malattie più frequenti erano la dissenteria e la polmonite. Una volta ho subito una punizione. [Le più frequenti consistevano in un] numero imprecisato di snervate [sic] alla schiena.
[Ci sono stati anche casi di evasione; mi ricordo quella dei] russi, dopo un bombardamento.
Con l’evacuazione del campo dovuto all’avanzata degli americani, siamo stati costretti a raggiungere a piedi i campi di Ebensee e Melk. Gli americani ci hanno liberato nel giugno del 1945.
Mi ricordo di rappresaglie contro i kapo da parte dei deportati. Sono rimpatriato venti giorni dopo, in camion, passando da Bolzano.
[Quello che mi ha sostenuto in questa esperienza sono stati] fortuna e salute.
[L’impressione che mi porto dietro è di un’esperienza] orribile. [Particolarmente ricordo che] appena arrivato a Mauthausen [siamo stati sottoposti] a una doccia fredda, la disinfezione completa e la rasatura su tutto il corpo, [ma anche] la completa rassegnazione di non poter sopravvivere a tutto il maltrattamento che si subiva”.

Fonte: Archivio Storico dell’ANED di Brescia, B. 9, fasc. 114 (“Elenchi dei deportati”), ad nomen.

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