GOTTARDELLO Egidio

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[…] A Berlino lavoravo dodici ore al giorno a costruire bombe.
[A Dora invece dormivamo] in baracche senza coperte né materassi. [Il vitto consisteva] in rape e verza in acqua.
Ogni giorno c’erano due appelli mentre l’orario di lavoro giornaliero era di dodici ore di seguito, dalle sei alle diciotto e dalle diciotto alle sei. Sono state fatte delle disinfezioni per prevenire il “tifo da sporcizia”.
I kapo erano dei triangoli verdi; parlavano in tedesco e noi eravamo obbligati a capirli. [Le malattie più frequenti derivavano] dalle infezioni da sporco e dalla denutrizione. Le punizioni venivano eseguite con delle bastonate. Ho assistito a impiccagioni quotidiane.
[Eravamo] obbligati a guardare. [Erano inflitte] per ogni motivo anche futile. Ci furono anche casi di suicidio: si buttavano nelle caldaie, si uccidevano per disperazione.
Non mi ricordo di episodi di solidarietà tra noi e i deportati di altri paesi.
Dopo l’evacuazione di Dora, in treno e a piedi, raggiungiamo Bergen Belsen che viene liberata l’11 aprile del 1945. Non mi ricordo di rappresaglie contro i kapo]: erano fuggiti.
Sono rientrato in Italia dopo tre mesi attraversando l’Austria e arrivando a Verona.
[Il mio migliore aiuto è stata] la fortuna.
[Non ho conservato particolari ricordi]: [quelli vissuti] erano tutti orrori da ricordare”.

Fonte: Archivio Storico dell’ANED di Brescia, B. 9, fasc. 114 (“Elenchi dei deportati”), ad nomen.

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