ALBERTI Luigi

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[…] La prima notte [nel campo, eravamo] seduti con le ginocchie [sic] alte. I primi cinque giorni si dormiva come le sardine. [Per vitto ci davano] mezzo litro di zuppa al giorno e una pagnocca in quattro, cinque, sei, secondo dei giorni. [Quotidianamente venivano effettuati] due appelli. [Si lavorava] dalle 6 di mattina alle 6 di sera nelle gallerie di San Giorgio [recte: St. Georgen] sul Gusen, dove si costruivano gli aerei. [Nella mia baracca c’erano anche] Faita Luigi, morto il giorno della liberazione, e Serioli Luigi [Battista] morto otto giorni prima della liberazione. Tutti e due di Sale Marasino.
[Appena giunti, furono fatte delle disinfezioni] per i pidocchi. [I Kapo erano dei triangoli verdi e per impartire gli ordini usavano il] tedesco.
[Per quanto riguarda la mia salute], sono sempre stato in piedi con la fame [ma non ho mai fatto ricorso all’infermeria]. Quando uno era in infermeria, dopo qualche giorno ci provavano la forza: o morire o lavorare. [La malattia più frequente era] la fame fame fame. [Per tre volte ho subito delle punizioni]: una volta [perché] non ho risposto all’appello, la seconda per aver sbagliato il passo [di marcia], la terza mi hanno trovato a dormire.
Qui ho visto la morte. Ho visto picchiare le persone come picchiare le bestie.
[Poi] ci sono state le camere a gas [ma non ho assistito a nessuna esecuzione]. [Ci furono anche delle ribellioni, come al] Blocco n. 20. [I prigionieri tentarono di] scappare dal Blocco. Quasi tutto il Blocco. [I fuggitivi furono ripresi] quasi tutti, meno quattro o cinque. Sono stati fucilati. Tutti russi.
[Il campo è stato evacuato] il 4 febbraio 1945, a piedi, [ed il trasferimento] è durato cinque ore. [E’ terminato a] Gusen I, campo della morte.
[La liberazione è avvenuta con l’arrivo degli] americani il 5 maggio 1945, alle ore cinque della sera. Ci sono state [rappresaglie contro i kapo perché] avevano fatto morire migliaia di uomini e donne.
[Il rimpatrio è avvenuto] due mesi dopo. Da Linz fino a Bolzano in treno. Sono rientrato [in Italia passando da lì] il 28 giugno 1945. [Essere riuscito a sopravvivere] è stata una fortuna. Nessun aiuto. Il mio cuore non ha mai ceduto.
[Il ricordo che ho di questa esperienza è quello della] fame e ancora oggi non posso dimenticare tutti gli scheletri che si vedevano davanti alle baracche tutti i giorni. Mi sono restate dentro di me le SS che non erano mai contente di uccidere e i suoi [sic] amici kapo. Uccidere [per loro] era come uccidere una mosca e poi tutti quei morti che non riesco a dimenticare ancora oggi […]”.

Fonte: Archivio Storico dell’ANED di Brescia, B. 9, fasc. 114 (“Elenchi dei deportati”), ad nomen.

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