FUCILAZIONE PER SABOTAGGIO

Sette alpini lombardi e veneti, che facevano parte di una squadra addetta alle perforatrici e che comprendeva anche tredici russi e francesi, vedendo che al momento della distribuzione del cibo, il kapò, un deportato comune e di nazionalità tedesca, dava agli altri una razione supplementare, chiesero lo stesso trattamento. La loro richiesta rimase inascoltata.

Allora dichiararono che se il trattamento loro riservato non fosse stato come quello garantito agli altri prigionieri della squadra, non avrebbero lavorato. Il kapò riferì ciò al sorvegliante del reparto, che scrisse su di un foglietto: “Gli italiani si rifiutano di lavorare: sabotaggio”, senza chiarire la ragione di tale atteggiamento. Il foglietto venne consegnato al comandante delle SS della galleria. L’ufficiale interrogò gli alpini, ma inutilmente in quanto né lui né loro riuscivano a comunicare a causa della lingua.

I sette, tra i quali i bresciani Giuseppe Baccanelli di Borno e Carlo Mossoni di Breno, vennero imprigionati; il giorno dopo, nel primo pomeriggio, terminato il turno di lavoro, davanti ad una cinquantina di prigionieri italiani, un plotone delle SS li condusse sul luogo dell’esecuzione. Furono uccisi uno alla volta.

1943-12-15 Fucilazione per sabotaggio

I loro corpi vennero immediatamente trasportati a Buchenwald. Sulla lapide che li ricorda nell’ex lager di Dora, la motivazione della fucilazione è sensibilmente diversa: aver rifiutato di lavorare alla produzione dei missili.

Fonti:

R. Lazzero, Gli schiavi di Hitler, Mondadori, Milano 1996, pp. 115-17;
G. Mayda, Storia della deportazione dall’Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri, Milano 2002, p. 332

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